Con una recente
decisione, il Supremo organo di giustizia amministrativa è intervenuto a
decidere una questione che aveva visto il mutamento di destinazione d’uso di un
appartamento residenziale in studio medico, nel territorio del Comune di Roma,
ma poiché tale trasformazione (solo) funzionale era intervenuta senza alcuna
opera edilizia, il proprietario non aveva ritenuto di chiedere alcun titolo abilitativo
edilizio. E ciò – ad onor del vero – anche sulla scorta di un risalente
insegnamento della giurisprudenza, che assoggettava al titolo solo i mutamenti
di destinazione d’uso realizzati mediante opere edilizie.
Poiché l’Amministrazione
comunale aveva, invece, sanzionato tale modifica, il privato aveva, dapprima,
adito il T.A.R. Lazio, ma con esito negativo.
Sull’appello
proposto dal privato soccombente, si è alfine pronunciato il Consiglio di
Stato, con la sentenza Sez. VI, 20 novembre 2018, n. 6562, la quale, dopo aver
ripercorso – sotto il profilo storico – le diverse norme statali e regionali
che hanno disciplinato il cambio d’uso, ha concluso «che il legislatore,
dopo le prime incertezze, ha inteso sistemare razionalmente i casi di mutamento
di destinazione che possano incidere sensibilmente sull’assetto del territorio,
sottoponendone in generale la realizzazione al regime autorizzatorio o a quello
semplificato della dichiarazione d’inizio attività.
5. Non può
condividersi dunque quanto talora affermato dalla giurisprudenza più risalente,
secondo cui il cambio d’uso da abitazione ad ufficio, anche se eseguito senza
opere, non sia mai soggetto a permesso di costruire, e ciò anche perché un
immobile destinato ad attività professionale presuppone un traffico di persone
e la necessità di servizi e, quindi, di "carico urbanistico"
superiore a quello di una semplice abitazione.
Pertanto, il mutamento di destinazione d’uso di
un immobile deve considerarsi urbanisticamente rilevante e, come tale, soggetto
di per sé all’ottenimento di un titolo edilizio abilitativo, con l’ovvia
conseguenza che il mutamento non autorizzato della destinazione d’uso che
alteri il carico urbanistico, integra una situazione di illiceità a vario
titolo, che può e anzi deve essere rilevata dall’Amministrazione nell’esercizio
del suo potere di vigilanza. […].
6. Soltanto il
cambio di destinazione d’uso fra categorie edilizie omogenee non necessita di
permesso di costruire (in quanto non incidente sul carico urbanistico) mentre,
allorché lo stesso intervenga tra categorie edilizie funzionalmente autonome e
non omogenee, integra una vera e propria modificazione edilizia con incidenza
sul carico urbanistico, con conseguente necessità di un previo permesso di
costruire, senza che rilevi l’avvenuta esecuzione di opere.
Dunque, il mutamento di destinazione d’uso di un fabbricato che determini, dal punto di vista urbanistico, il passaggio tra diverse categorie in rapporto di reciproca autonomia funzionale, comporta inevitabilmente un differente carico ed un maggiore impatto urbanistico, anche se nell’ambito di zone territoriali omogenee, da valutare in relazione ai servizi e agli standard ivi esistenti».
avv. Domenico Chinello