La vertenza portata all’attenzione
del Consiglio di Stato riguarda un’ordinanza di demolizione adottata al Comune
di Napoli per sanzionare un intervento di ristrutturazione ed ampliamento posto
in essere abusivamente da un privato su un appartamento di sua proprietà e
consistente nella realizzazione di un solaio intermedio in ferro di 70 metri
quadrati, impostato a 2,25 metri dal piano di calpestio e a m. 1,85 dalla copertura,
costituito da tre vani, cucina e due w.c., privo di scala di collegamento.
A fronte di tale
provvedimento sanzionatorio, il destinatario ha provveduto a proporre ricorso
al T.A.R. Campania, sede di Napoli, risultando tuttavia soccombente.
Proposto appello al
Consiglio di Stato, lo stesso si è alfine pronunciato con la sentenza della
Sez. VI, 3 dicembre 2018, n. 6839.
Oltre ai motivi di
impugnazione riguardanti la qualificazione dell’intervento edilizio sanzionato
e l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, quello che maggiormente ci
interessa, in questa sede, è la censura di carenza di motivazione, legata alla
asserita vetustà dell’abuso.
In buona sostanza, il soggetto
appellante ha dedotto che le opere abusive risultavano assai risalenti nel tempo
e che, in tutti quegli anni, l’Amministrazione comunale aveva mantenuto uno
stato di totale inerzia, il che avrebbe comportato l’obbligo – per l’Ente
locale – di motivare in maniera congrua e puntuale circa la sussistenza di un
interesse pubblico prevalente all’adozione dell’ordinanza di demolizione e
ripristino.
Tale prospettazione, in
effetti, poteva trovare un certo fondamento a causa di un perdurante contrasto
giurisprudenziale che imponeva all’amministrazione un onere motivazionale più o
meno rilevante a seconda dell’impostazione assunta.
Invero, secondo un primo
orientamento interpretativo, divenuto senz’altro maggioritario negli ultimi
anni, l’ordinanza di demolizione di un fabbricato abusivo non richiede una
particolare motivazione in ordine alla sussistenza di uno specifico interesse pubblico
al ripristino della legittimità violata, e ciò anche qualora sia decorso un
considerevole lasso di tempo dalla commissione dell’abuso, in quanto deve
escludersi la configurabilità di un legittimo affidamento in capo al
responsabile dell’intervento abusivo o al suo avente causa. In questi termini,
cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI,
10 maggio 2016, n. 1774 [1].
In base a questa
impostazione ermeneutica, l’ordinanza di demolizione, come tutti i provvedimenti
sanzionatori in materia edilizia, si configura come un atto vincolato che non
richiede una specifica valutazione delle ragioni
di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con
gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né – ancora – una motivazione
sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione,
non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla
conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai
legittimare. Così Cons. Stato, IV, 28 febbraio 2017, n. 908.
In proposito, è stato
inoltre evidenziato che – ove si volesse dare rilievo, in queste fattispecie,
al decorso del tempo anche al solo fine di aumentare l’onere motivazionale richiesto
all’amministrazione comunale – ciò comporterebbe l’introduzione, in via
pretoria, di una sorta di “sanatoria extra
ordinem”, la quale opererebbe anche nelle ipotesi in cui il soggetto interessato
non abbia potuto - o voluto - avvalersi delle disposizioni normative in tema di
sanatoria di abusi edilizi (in tal senso: Cons. Stato, VI, 15 gennaio 2015, n.
13).
In aperta contrapposizione,
si rinviene invece un secondo filone giurisprudenziale – condiviso soprattutto
in anni meno recenti, ma non solo – secondo il quale, è ben vero che l’ingiunzione
di demolizione, in quanto atto dovuto in presenza della constatata
realizzazione dell’opera edilizia senza titolo abilitativo o in totale
difformità da esso, è in linea di principio
sufficientemente motivata con l’affermazione dell’accertata abusività
dell’opera, ma tuttavia deve «essere fatta salva l’ipotesi in cui, per il lungo
lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e il protrarsi
dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata
una posizione di affidamento nel privato: ipotesi – questa – in relazione alla
quale si ravvisa un onere di congrua motivazione la quale indichi,
avuto riguardo anche all’entità ed alla tipologia dell’abuso,
il pubblico interesse - evidentemente diverso da quello al
ripristino della legalità - idoneo a giustificare il sacrificio del
contrapposto interesse privato. Cfr., per esempio, Cons. Stato, IV, 2
novembre 2016, n. 4577.
In quest’ottica, la
giurisprudenza ha più volte sostenuto che «Il notevole periodo di tempo
trascorso tra la commissione dell’abuso e l’adozione dell’ordinanza di
demolizione, e il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla
vigilanza, possono costituire indice sintomatico di un legittimo affidamento in
capo al privato, a fronte del quale grava quantomeno sul Comune, nell’esercizio
del potere repressivo-sanzionatorio, un obbligo motivazionale “rafforzato”
circa l’individuazione di un interesse pubblico specifico alla emissione della
sanzione demolitoria, diverso e ulteriore rispetto a quello al mero ripristino
della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse
privato, in deroga al carattere strettamente dovuto dell’ingiunzione a demolire».
Così Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2016, n. 1393, ma anche molte altre [2].
A fronte di questo perdurante
contrasto giurisprudenziale, la Sezione Sesta del Consiglio di Stato, con
ordinanza in data 24 marzo 2017, n. 1337 ha rimesso all’Adunanza plenaria stabilire
se l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba recare effettivamente
una congrua motivazione sulla
sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della
legalità violata, allorquando il provvedimento sanzionatorio intervenga a una
distanza temporale straordinariamente lunga rispetto alla commissione dell’abuso.
Ebbene, il Plenum del Consiglio di Stato, con la
nota sentenza n. 9 del 17 ottobre 2017, ha aderito alla prima impostazione
ermeneutica, e ha sostenuto che il provvedimento con cui viene ingiunta, sia
pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo –
stante la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi
presupposti in fatto e in diritto – non richiede alcuna motivazione in ordine
alle ragioni di pubblico interesse, diverse da quelle inerenti al ripristino
della legittimità violata, che impongono la rimozione dell’abuso, precisando,
altresì, he siffatto principio non ammette deroghe
neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di
molto tempo dall’effettiva realizzazione dell’opera abusiva.
Dopo
la citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria, le diverse sentenze rese dal
Consiglio di Stato nel corso del 2018 sono state pressoché tutte conformi [3],
tranne forse la decisione Cons. Stato, Sez. VI, 4 giugno 2018, n. 3372, che appare
parzialmente in contrasto, anche se, in realtà, ha ravvisato la necessità di una
motivazione puntuale, da parte dell’Ente, non già – o non solo – per il lungo
tempo decorso da quando l’abuso era stato realizzato, ma per l’affidamento
ingenerato nel privato, a seguito dell’avvenuto rilascio di un titolo edilizio [4].
Per
quanto riguarda, infine, la decisione qui in esame, la stessa si è posta nel
solco della giurisprudenza maggioritaria e, richiamando espressamente – nella sua
parte motiva – il dettato della succitata Adunanza Plenaria n. 9/2017, ha ribadito
che la demolizione di un immobile edificato senza il necessario titolo, avendo
natura vincolata ed essendo rigidamente ancorato alla sussistenza dei relativi
presupposti in fatto e in diritto, non necessita di specifica motivazione in
ordine alle ragioni di pubblico interesse che impongono la rimozione dell’abuso
e ciò neppure ove la sanzione della demolizione sia intervenuta a distanza di lungo
tempo dalla realizzazione dell’abuso medesimo.
Di
qui, i Giudici di Palazzo Spada hanno, dunque, respinto l’appello proposto dai
privati, provvedendo a confermare la decisione di primo grado del T.A.R.
Campania.
avv. Domenico Chinello
[1]
Di analogo tenore sono pure le decisioni Cons. Stato, sez. VI, 23 ottobre 2015, n. 4880 e Cons. Stato, sez. VI,
11 dicembre 2013, n. 5943.
[2] Negli stessi termini, si vedano anche le sentenze Cons. Stato, sez.
VI, 18 maggio 2015, n. 2512; Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3847; Cons.
Stato, sez. IV, 12 aprile 2011, n. 2266; Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2008,
n. 2705; Cons. Stato, sez. V, 4 marzo 2008, n. 883; Cons. Stato, sez. VI, 29
maggio 2006, n. 3270.
[3]
Cfr. la sentenza
Cons. Stato, sez. VI, 26 marzo 2018, n. 1893: «È legittimo l’ordine
di demolizione emanato a distanza di un considerevole lasso di tempo dalla
commissione dell’abuso in quanto la mera inerzia da parte dell’Amministrazione
nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti
finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione
sine titulo) è sin dall’origine
illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un
affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso,
giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare
un’aspettativa giuridicamente qualificata».
Ma si veda pure
Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno 2018, n. 3351: «In caso di abusi edilizi, l’ordine
di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è
atto vincolato che non richiede una valutazione specifica delle ragioni di interesse
pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati
coinvolti e sacrificati, né — ancora — una motivazione sulla sussistenza di un interesse
pubblico concreto e attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza
di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto
abusiva, che il tempo non può giammai legittimare. Deve, infatti, riconoscersi
all’illecito edilizio natura di illecito permanente in quanto un immobile interessato
da un intervento illegittimo conserva nel tempo la sua natura abusiva tale per
cui l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata è in re ipsa, quindi l’interesse del privato
deve intendersi necessariamente recessivo rispetto all’interesse pubblico all’osservanza
della normativa urbanistico-edilizia e al corretto governo del territorio».
Del medesimo segno è
anche Cons. Stato, sez. VI, 9 luglio 2018, n. 4169: «L’ordinanza di demolizione
di un immobile abusivo adottata a distanza di venti anni non deve essere motivata
sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino
della legalità violata. Infatti è del tutto congruo che l’ordine di demolizione
sia adeguatamente motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo
dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali,
applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria».
[4] Invero, secondo la citata sentenza, «La risalenza nel tempo dell’abuso
contestato, l’affidamento ingeneratosi in conseguenza del rilascio del titolo
edilizio del locale (tecnico-deposito poi utilizzato come) garage, integrano,
complessivamente considerati, parametri oggettivi di riferimento da valutare,
decorsi oltre quaranta anni dalla realizzazione dell’abuso, prima d’adottare la
misura ripristinatoria ovvero da dover indurre il Comune a fornire
adeguata motivazione sull’interesse pubblico attuale al ripristino dello
stato dei luoghi».