La pronuncia del T.A.R. Lombardia, Milano, Sez.
II, 28.01.2019, n. 188 offre l’occasione per affrontare il tema dei requisiti
richiesti dalla giurisprudenza amministrativa affinché possa essere riconosciuta
ad un soggetto la legittimazione ad impugnare il permesso di costruire
rilasciato in favore di terzi, anche con particolare riguardo alla possibilità –
per un operatore economico – di proporre ricorso avverso il titolo edilizio rilasciato
ad un concorrente.
Alla luce delle peculiarità che caratterizzano
la fattispecie concreta sottoposta alla sua attenzione e, pur a fronte di un
percorso argomentativo non del tutto convincente, la pronuncia del Giudice
amministrativo lombardo presenta degli innegabili profili d’interesse.
In tale ottica, prima di soffermarci
specificamente sul decisum del T.A.R.,
si procederà a ricostruire brevemente la cornice normativa e giurisprudenziale
entro cui deve essere opportunamente inquadrata la questione dianzi evidenziata.
*
La
nostra breve ricostruzione deve prendere le mosse dall’art. 31 della legge
urbanistica fondamentale n. 1150 del 17 agosto 1942, così come modificato dall’art.
10 della “legge ponte” n. 765 del 6 agosto 1967, che – come è noto – attribuiva a “chiunque” la legittimazione a
prendere visione, presso gli uffici comunali, della concessione edilizia
rilasciata dall’Amministrazione in favore di terzi, e dei relativi atti di
progetto, riconoscendo, altresì, la possibilità di “…ricorrere contro il rilascio della concessione edilizia in quanto in
contrasto con le disposizioni di legge, o dei regolamenti o con le prescrizioni
di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione”.
In
origine, parte della dottrina ha sostenuto che la succitata disposizione fosse
in grado di sovvertire il tradizionale meccanismo di legittimazione
processuale, ipotizzando la possibilità che il legislatore avesse voluto
introdurre una vera e propria azione popolare in materia urbanistico-edilizia,
idonea – in quanto tale – a consentire l’attivazione del giudizio impugnatorio
anche da parte di soggetti diversi dal proprietario c.d. «frontista» [1].
Ben
presto, tuttavia, gli esiti radicali paventati dalla dottrina sopra richiamata
e inizialmente avallati dalla giurisprudenza amministrativa [2], sono stati criticati da
altri autorevoli commentatori [3] e definitivamente esclusi
dal Consiglio di Stato, che ha, dunque, mutato il suo orientamento iniziale [4], finendo col negare che la
norma in questione avesse introdotto un’azione popolare legittimante il quisque de populo ad impugnare le
concessioni edilizie rilasciate a terzi.
Entro
tali coordinate fondamentali, quindi, è maturata un’interpretazione assai più
restrittiva del termine “chiunque”, secondo un orientamento interpretativo che
ha riconosciuto la legittimazione a ricorrere ai soli soggetti portatori di
interessi legittimi non semplicemente differenziati, ma qualificati da uno
stabile collegamento fisico con l’area oggetto di intervento [5], delineando così una
tutela giurisdizionale posta a metà strada tra il sistema tradizionale ed il
ricorso popolare [6].
In tale
contesto, dunque, lo stabile collegamento tra il ricorrente e la zona
interessata dall’attività edificatoria autorizzata diventa l’essenziale criterio
per discriminare l’ammissibilità o meno del proposto ricorso: stabile collegamento
che – secondo l’ormai consolidato insegnamento giurisprudenziale – può essere fondatamente
rinvenuto in presenza di diverse situazioni: dalla residenza o dal domicilio nell’area
ove dovrà essere effettuato l’intervento assentito, dalla proprietà, dal
possesso o comunque dalla detenzione di immobili nelle vicinanze dell’area
anzidetta, ma anche da qualsiasi altro titolo di effettiva frequentazione della
zona di cui trattasi [7].
In altri
termini, ciò che risulta giuridicamente rilevante è l’esistenza di una
connessione non effimera – che va apprezzata in termini di oggettiva prossimità
o vicinanza fisica degli immobili – con l’area interessata dalla costruzione
assentita, connessione da intendere quale elemento fondamentale al fine di differenziare
con certezza la posizione giuridica di un soggetto da quella astrattamente
caratterizzante qualsivoglia consociato che si trova a vivere in una
determinato contesto territoriale.
Sempre
nella prospettiva delineata, peraltro, non sussisterebbe la necessità – a detta
della giurisprudenza sicuramente maggioritaria – che il ricorrente provveda
alla puntuale dimostrazione del danno che lo stesso potrebbe eventualmente subire
in conseguenza dell’intervento edilizio autorizzato. In diverse occasioni, infatti,
il Giudice Amministrativo ha precisato che lo stabile collegamento con la zona
incriminata è sufficiente di per sé a legittimare un soggetto ad agire per il
rispetto delle norme urbanistiche che egli assume violate, e ciò
indipendentemente dalla prova del danno specifico che l’assentita costruzione
potrebbe presumibilmente arrecargli, essendo insito nella violazione edilizia
il pregiudizio procurato a tutti i membri di quella specifica collettività [8].
In
relazione alla problematica in questione, tuttavia, risulta opportuno segnalare
come, negli ultimi anni, siano rinvenibili, nella giurisprudenza amministrativa,
diverse pronunce che si pongono in netto contrasto con quanto sostenuto dall’orientamento
interpretativo dianzi citato. In particolar modo, è stato rimarcato che l’interesse
ad impugnare il titolo abilitativo edilizio rilasciato a terzi non può considerarsi
sussistente in virtù della semplice esistenza di uno stabile collegamento fisico
fra il ricorrente e la zona interessata dall’intervento assentito, essendo
comunque necessario che il medesimo ricorrente fornisca la prova, in concreto,
di uno specifico danno subito [9].
Al
riguardo, tuttavia, un’attenta disamina delle pronunce che hanno aderito a tale
orientamento giurisprudenziale minoritario consente di apprezzare come, nella
maggioranza dei casi, il contrasto de quo
sia soltanto apparente, dal momento che la valutazione giudiziale risulta,
in concreto, influenzata direttamente dalla diversa “portata” dell’atto
amministrativo impugnato [10].
Sul tema,
invero, il Consiglio di Stato ha significativamente osservato: «la tesi che ricollega la legittimazione al
ricorso avverso il rilascio del permesso di costruire non solo alla vicinitas, ma anche alla dimostrazione del
pregiudizio derivante dall’atto impugnato riguarda, per lo più, l’impugnazione
di atti generali di programmazione e trasformazione del territorio (piano di
lottizzazione, modifica di piano regolatore) ma non titoli singoli, quale è da
considerarsi l’autorizzazione unica alla realizzazione dell’impianto, per i
quali, al contrario, vale il principio della sufficienza, ai fini del
riconoscimento della legittimazione, della sola vicinitas, con esclusione di qualunque indagine volta
ad accertare, in concreto, un obiettivo pregiudizio per il soggetto che propone
l’impugnazione per il rispetto delle norme di cui assuma la violazione» [11].
Ad ogni
modo, sviluppando i principi sopra esposti in tema di vicinitas, il Giudice amministrativo ha avuto occasione di
precisare come il criterio dello stabile collegamento sia caratterizzato da un’irriducibile
elasticità, potendo assumere un significato potenzialmente più ampio rispetto alla
mera prossimità di carattere fisico-geografico, con il conseguente ampliamento
dei profili di legittimazione consolidati.
In tale
ottica, si può notare che le considerazioni svolte in precedenza hanno trovato
diretta applicazione nelle ipotesi in cui il rilascio di un titolo edilizio sia
funzionale allo svolgimento di una determinata attività commerciale,
costituendone il necessario presupposto e/o la condizione ineludibile per il
suo ulteriore sviluppo (nel caso, per esempio, del rilascio di un permesso di
costruire, che autorizzi l’ampliamento di un esercizio commerciale già
esistente ed effettivamente operante in una determinata area).
Nelle
ipotesi dianzi descritte, infatti, si pone necessariamente il problema di
consentire a chi ha un esercizio commerciale già esistente di tutelare adeguatamente
la propria attività e il proprio “portafoglio clienti”, anche proponendo un
ricorso giurisdizionale di carattere urbanistico-edilizio.
In
proposito, è appena il caso di sottolineare che l’assetto impresso al
territorio comunale dallo strumento urbanistico incide su interessi
estremamente eterogenei, valorizzandoli e/o penalizzandoli a seconda delle
scelte di pianificazione concretamente operate dall’Amministrazione [12].
In tale
contesto, si afferma, dunque, la necessità di consentire a coloro che
esercitano un’attività commerciale di contestare le decisioni urbanistiche del
Comune ogniqualvolta le predette decisioni finiscano per incidere negativamente
sulla loro posizione giuridica soggettiva [13].
In
considerazione delle esigenze dianzi esposte, dunque, il Giudice amministrativo
ha ampliato sensibilmente le maglie della nozione di vicinitas,
riconoscendo
al titolare di un’attività commerciale la legittimazione ad impugnare il titolo
abilitativo edilizio rilasciato a qualunque concorrente, che – in base alla
tipologia e alla grandezza dei due esercizi commerciali – svolga la medesima
attività entro lo stesso bacino d’utenza, pur in assenza di una vera e propria
contiguità fisica [14].
*
Venendo
al merito del decisum del T.A.R.
Lombardia, si evidenzia come la vicenda sottoposta all’esame del Collegio
giudicante sia stata originata dall’impugnazione di un permesso di costruire
rilasciato in favore di una Fondazione di diritto privato, dedita allo
svolgimento di un’attività sanitaria privata, nell’ambito del territorio di un
Comune in Provincia di Como.
Il titolo
edilizio rilasciato aveva ad oggetto la ristrutturazione, con modifica della
relativa destinazione d’uso, di un vecchio deposito d’acqua, facente parte del
compendio immobiliare ove veniva svolta l’attività di carattere terapeutico.
Avverso
il rilascio di tale permesso di costruire, è stato proposto apposito ricorso da
parte di una Cooperativa titolare di un’analoga struttura terapeutico-riabilitativa,
situata anch’essa nell’ambito del territorio del medesimo Comune.
Più
specificatamente, in sede di impugnazione, la Cooperativa ricorrente ha dedotto
che le opere edilizie autorizzate erano già state compiute al momento della
presentazione della relativa istanza di rilascio, con la conseguenza che l’Amministrazione
comunale avrebbe dovuto, piuttosto, rilasciare un permesso di costruire in
sanatoria per legittimare ex post
quanto era già stato realizzato in assenza di titolo.
Nel
costituirsi in giudizio, sia la difesa dell’Ente che quella della Fondazione controinteressata
hanno sollevato un’eccezione d’inammissibilità, deducendo la carenza di qualsivoglia
legittimazione ed interesse ad agire in capo alla Cooperativa che aveva
proposto il ricorso. In altri termini, i difensori del Comune e della
controinteressata hanno contestato l’esistenza – in capo alla ricorrente – del
requisito della vicinitas fisica ed hanno
evidenziato il difetto di ogni concreto pregiudizio derivante dall’esecuzione di
opere interne e di modesta entità.
Ebbene,
con riferimento a tale rilievo specifico, la decisione in esame ha ribadito
come, in materia edilizia, sia stata introdotta, al fine di riconoscere la
legittimazione al ricorso, la nozione di vicinitas,
costituita – come ricordato in precedenza – dall’esistenza di uno stabile
collegamento fra il ricorrente e l’area interessata dall’intervento edificatorio,
illustrando, peraltro, come la giurisprudenza amministrativa si divida in
ordine all’identificazione delle condizioni necessarie per accedere alla tutela
giurisdizionale.
Chiarito
ciò, il Giudice amministrativo lombardo ha precisato che, nell’ipotesi
sottoposta alla sua attenzione, non poteva ritenersi integrato il requisito
della vicinitas, mancando “la vicinanza e l’identità del contesto
territoriale fra l’immobile della ricorrente e quello oggetto delle opere
contestate”, puntualizzando, inoltre, che tale constatazione non poteva
essere superata neppure alla luce del concetto più ampio di “bacino d’utenza”,
invocato dalla Cooperativa ricorrente.
In
proposito, il Collegio giudicante ha osservato come non possa «essere provata l’effettiva lesione della
concorrenza», dal momento che tale lesione non può fondatamente ravvisarsi
nel caso de quo, in ragione del fatto
che «la tutela della concorrenza è
assicurata dalla possibilità di accesso alle attività di produzione di beni e
servizi, al fine di assicurare a ciascun soggetto (consumatori e imprese), di
cogliere o proporre le migliori opportunità, senza imposizioni e vincoli da
parte dello Stato o di altre imprese».
Di qui, il T.A.R.
Lombardia ha, dunque, respinto il ricorso promosso della Cooperativa,
accogliendo l’eccezione d’inammissibilità per carenza di interesse.
Sul punto, si può
notare come gli esiti a cui giunge il Giudice amministrativo lombardo, nonché
il percorso argomentativo sviluppato dallo stesso, non appaiono del tutto convincenti,
dal momento che prescindono da ogni valutazione inerente alla possibile
identità del bacino d’utenza delle due attività sanitarie svolte,
rispettivamente, dalla Fondazione titolare del permesso di costruire rilasciato
dal Comune, e dalla Cooperativa ricorrente, limitandosi a rilevare che fra le
due strutture terapeutiche intercorre una distanza di almeno 500 metri.
Al contrario, nella
decisione in esame, il T.A.R. sembra essersi concentrato unicamente sulla
possibilità che il titolo edilizio concesso dall’Ente locale potesse, in
qualche modo, recare pregiudizio all’assetto concorrenziale del mercato di
riferimento, giungendo evidentemente ad escludere tale ipotesi sulla base delle
considerazioni dianzi evidenziate.
Stando così le cose, la
pronuncia giudiziale in esame si
attesta su una posizione che non rispecchia compiutamente l’evoluzione del
concetto di vicinitas impressa
dall’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in materia.
Alla
base di tale evoluzione, infatti, vi è sicuramente la possibilità che l’interesse
di natura economico-commerciale e quello prettamente urbanistico possano
cumularsi [15],
cosicché anche il soggetto che esercita un’attività economica (in senso lato)
privata possa – previa verifica dell’identità del bacino d’utenza – proporre un’impugnazione
strumentale a tutela del primo interesse per il tramite del secondo, con l’inevitabile
estensione del numero dei soggetti legittimati a gravare il titolo abilitativo
edilizio rilasciata ad un diretto concorrente per lo svolgimento della medesima
attività.
[1] Cfr. V. SPAGNUOLO
VIGORITA, Interesse pubblico e azione
popolare nella «legge-ponte» per l’urbanistica, in Riv. giur. edilizia, 1967, II, p. 387 e seg.; A. M. SANDULLI, L’azione popolare contro le licenze edilizie,
in Riv. giur. edilizia, 1968, II, p.
3 e seg.; G. FRAGOLA, Le leggi
urbanistiche edilizie, Padova, 1969, p. 227 e seg.; in senso più
restrittivo, G. D’ANGELO, Le modifiche
della legge urbanistica approvate dalla Camera dei Deputati, in Riv. giur. edilizia, 1967, II, p. 247 e
seg..
[2] Al riguardo, si veda Cons. Stato, Sez. V, 29.10.1968,
n. 1314.
[3] Si vedano, per esempio, C. LOPOPOLO, Pubblicità delle licenze edilizie e
possibilità di ricorso, in Nuova rassegna,
1969, p. 283 e seg.; D. RODELLA, La
legislazione urbanistica in Italia alla luce delle modificazioni apportate con
la «legge - ponte», in Città e
società, 1967, VI, p. 74 e seg..
[4] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 09.06.1970, n. 523; Cons.
Stato, Sez. V, 27.08.1971, n. 753; e, per un approfondimento della
problematica, G. DE SANCTIS MANGELLI, Ancora
sull’azione popolare in materia edilizia, in Riv. giur. edilizia, 1971, II, p. 55 e seg..
[5] In tale ottica, tra le pronunce più recenti, si
vedano per esempio, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 14.12.2018, n. 12175, secondo la quale «Nel caso di impugnativa di titoli edilizi, la vicinitas è elemento necessario e
sufficiente per radicare la legittimazione e l’interesse del proprietario
confinante», ma anche molteplici altre: T.A.R.
Liguria, Sez. I, 01.12.2016, n. 1177; Cons. Stato, Sez. IV, 19.11.2015, n. 5278;
T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 20.05.2015, n. 1195; Cons. Stato, Sez. I, 22.09.2014,
n. 4764; Cons. Stato, Sez. VI, 06.07.2010, n. 4299.
[6] Cfr. F.R. MAELLARO, La legittimazione al ricorso in materia urbanistica, in Giur. merito, 2012, p. 1492 e seg..
[7] In tali termini, ex
multis, si vedano: T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 30.01.2018, n. 126; T.A.R.
Puglia, Lecce, Sez. III, 30.10.2015, n. 3117; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 11.05.2015 n.
1495; Cons. Stato, Sez. IV, 18.11.2014, n. 5662; Cons. Stato, Sez. IV,
18.04.2014, n. 1995; Cons. Stato, Sez. V,
21.05.2013, n. 2757; T.A.R. Molise, Sez. I, 26.05.2014, n. 346; T.A.R. Lombardia,
Milano, Sez. III, 08.03.2013, n. 627; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 01.10.2012,
n. 1750; T.A.R. Trentino Alto Adige, Sez. I, 09.02.2010, n. 46.
[8] In proposito, ex
multis, si ricordano: Cons. Stato, Sez. IV, 26.07.2018, n. 4583; T.A.R.
Puglia, Lecce, Sez. III, 30.01.2018, n. 126; T.A.R. Abruzzo, Sez. I, 23.02.2017,
n. 109; T.A.R. Liguria, Sez. I, 13.12.2016, n. 1231; Cons. Stato, Sez. VI, 21.03.2016,
n. 1156; Cons. Stato, Sez. III, 17.11.2015, n. 5257; Cons. Stato, Sez. IV, 13.03.2014,
n. 1217; T.A.R. Liguria, Sez. I, 21.11.2013, n. 1406; T.A.R. Liguria, Sez. VI,
11.09.2013, n. 4493; T.A.R. Liguria, Sez. VI, 03.09.2013, n. 4390; T.A.R.
Liguria, Sez. IV, 04.06.2013, n. 3055; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 17.05.2013,
n. 1422.
[9] Si vedano: T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 21.09.2018,
n. 9536; T.A.R. Veneto, Sez. II, 04.09.2018, n. 873; Cons. Stato, Sez. IV, 15.12.2017,
n. 5908; T.A.R. Veneto, Sez. II, 14.10.2016, n. 1131; Cons. Stato, Sez. V, 22.03.2016,
n. 1182; Cons. Stato, Sez. V, 13.03.2014, n. 1263
[10] Cfr. A. LONGO, La
legittimazione dei terzi ad impugnare gli atti amministrativi in materia
edilizia ed urbanistica: vicinitas e
ulteriori condizioni di accesso alla tutela processuale, in Riv. giur. edilizia, 2016, IV, p. 516 e
seg..
[11] In tali esatti termini, si veda la motivazione di Cons.
Stato, sez. IV, 13.03.2014, n. 1217.
[12] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 17 gennaio 1995, n. 16.
[13] Per una più ampia disamina di tale problematica, si
rinvia a D. Chinello, Legittimazione ad
impugnare la concessione edilizia altrui ed, in particolare, la legittimazione
dei titolari di esercizi commerciali ad impugnare la concessione edilizia
rilasciata ad un concorrente, in Appalti
Urbanistica Edilizia, 2003, p. 75 e seg.
[14] Sul punto, la decisione Cons. Stato, Sez. IV, 01.06.2018,
n. 3316 ha precisato: «Nell’ipotesi in cui ad impugnare il
permesso di costruire correlato ad un’autorizzazione commerciale sia un
operatore economico, il criterio dello stabile “collegamento territoriale” che
deve legare il ricorrente all’area di operatività del controinteressato per
poterne qualificare la posizione processuale e conseguentemente il diritto di
azione, deve essere riguardato in un’ottica più ampia rispetto a quella usuale.
In tal caso, infatti, il concetto di vicinitas nella contestazione di una
struttura commerciale si specifica identificandosi nella nozione di stesso
bacino d’utenza della concorrente, tale potendo essere ritenuto anche con un
raggio di decine di chilometri. Pertanto, nell’ipotesi in cui ad impugnare il
permesso di costruire sia il titolare di una struttura di vendita, affinché il
suo interesse processuale possa qualificarsi personale, attuale e diretto, deve
potersi ravvisare la coincidenza, totale o quanto meno parziale, del bacino di
clientela, tale da poter oggettivamente determinare un apprezzabile calo del
volume d’affari».
Nei medesimi termini, si vedano Cons. Stato, Sez. IV, 19.11.2015 n. 5278; Cons.
Stato, Ad. Plen. 25.02.2014 n. 9; Cons. Stato, Sez. IV, 17.09.2012 n. 4924; Cons.
Stato, 30.11.2010 n. 8364.
[15] In proposito, chi scrive ha già avuto modo di
osservare in passato: «se, dovessimo giudicare fine a se stesso
l’interesse “urbanistico” di un soggetto a che la zona a cui egli è stabilmente
collegato non venga urbanisticamente vulnerata, ecco che non avrebbe alcun
senso (o, meglio, non sarebbe ammissibile) ragionare in termini di “mercato di
riferimento”, neppure tra due attività commerciali, e non potrebbe, quindi,
prescindersi in alcun caso dalla valutazione circa la contiguità fisica tra gli
immobili dei contendenti.
Se, invece, si ritiene – come sembra doversi ritenere – che l’interesse di natura commerciale e
quello prettamente urbanistico possano cumularsi, cosicché il titolare di una
licenza commerciale possa proporre un’impugnazione strumentale a tutela del
primo interesse per il tramite del secondo, ecco che allora lo “stabile
collegamento” tra il ricorrente ed il controinteressato (recte, tra la
sede dell’uno e quella dell’altro) potrà ragionevolmente valutarsi alla stregua
del bacino d’utenza (inteso come ambito nel quale insiste la potenziale
clientela) delle due attività, a prescindere da una vicinanza concreta tra di
esse, con inevitabile estensione del numero dei soggetti legittimati a gravare
la concessione edilizia rilasciata ad un diretto concorrente, per lo
svolgimento della medesima attività». Cfr. D. Chinello, ult.
op. cit., p. 85.