Con la recente sentenza Consiglio
di Stato, Sez. VI, 18 maggio 2020, n. 3120, il Supremo Giudice amministrativo –
al di là delle conseguenze dell’inottemperanza all’ordine di demolizione (sul
punto la pronuncia in esame ribadisce principi noti), ha assunto un’importante
e chiara presa di posizione circa l’obbligo del Comune di provvedere con le
sanzioni edilizie, fino alla completa definizione del procedimento
sanzionatorio, a fronte di denunce/diffide provenienti dal privato “dotato
della vicinitas” rispetto all’opera abusiva.
La vicenda oggetto della
decisione del Consiglio di Stato trae origine dalle “rimostranze” mosse da un
privato, nei confronti del Comune, contro un abuso edilizio realizzato dal
proprietario confinante, già oggetto di domanda di condono rigettata.
L’Ente locale aveva
effettivamente adottato l’ordinanza di demolizione del manufatto abusivo ex
art. 31, d.P.R. 380/2001, ma – a fronte dell’inottemperanza del destinatario
dell’ingiunzione a demolire – il Comune stesso era rimasto sostanzialmente
inerte, nonostante il vicino avesse diffidato l’Amministrazione a porre in
essere tutti i doverosi atti repressivi e ripristinatori, ivi compresa
l’acquisizione dell’opera abusiva e la sua demolizione.
Di qui, il vicino, che
aveva interesse alla rimozione dell’abuso, aveva adito il T.A.R. competente per
territorio, per ottenere la declaratoria di illegittimità del silenzio serbato
dalla P.A. sull’istanza/diffida che egli stesso aveva proposto. Il T.A.R.
Napoli, in accoglimento del ricorso, aveva dichiarato l’illegittimità del
silenzio tenuto dal Comune, ordinandogli di provvedere entro un determinato
termine.
Avverso tale decisione,
l’Ente ha proposto appello, sostenendo che il proprietario confinante non aveva
un interesse concreto a quella pronuncia, in considerazione del fatto che il
Comune stesso aveva già svolto l’attività sanzionatoria (recte,
l’adozione dell’ordinanza di demolizione), e che le conseguenze pratiche di
tale attività sarebbero inerenti alla gestione, ad ampio spettro, dell’attività
repressiva dell’Amministrazione, senza possibilità – per il confinante – di far
valere una qualche sua aspettativa.
Il Giudice amministrativo
di secondo grado si è, invece, dimostrato di contrario avviso, respingendo
l’appello e confermando la pronuncia del T.A.R. Napoli.
A detta dei Giudici di
Palazzo Spada, la P.A. ha l’obbligo di provvedere sulle istanze dei privati,
non solo nei casi espressamente previsti da una norma, ma anche in ipotesi
ulteriori nelle quali si evidenzino specifiche ragioni di giustizia ed equità
che impongano l’adozione di un provvedimento espresso, ossia tutte le volte in
cui – in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della
parte pubblica – sorga, per il privato, una legittima aspettativa a conoscere il
contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano)
dell’Amministrazione (così, per esempio, la recente pronuncia Consiglio di
Stato, sez. VI, 9 gennaio 2020, n. 183).
Ebbene, nel caso della vigilanza in materia edilizia, l’obbligo della P.A. di provvedere emerge, ormai pacificamente, sia dalla disciplina di settore (art. 27, d.P.R. 380/ 2001), sia sulla scorta della relativa interpretazione giurisprudenziale. Nello specifico, il Consiglio di Stato ha chiarito che il proprietario confinante con l’immobile asseritamente abusivo vanta un interesse sostanziale – proprio in ragione della vicinanza – all’esercizio dei poteri repressivi e ripristinatori da parte della competente Amministrazione comunale, cosicché egli ha un interesse giuridicamente tutelato acché la P.A. definisca i procedimenti sanzionatori relativi all’immobile medesimo entro il termine previsto dalla legge, pena l’illegittimità del relativo silenzio.