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Per derogare alle distanze legali non basta un’autorizzazione unilaterale del vicino, ma serve un vero e proprio contratto costitutivo di servitù

08/03/2021

La Suprema Corte, con la recente sentenza Cassazione civile, sez. II, 12.02.2021, n. 3684, è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di una decisione della Corte d’Appello di Brescia, che aveva disposto l’arretramento, mediante demolizione, di un corpo di fabbrica realizzato in sopraelevazione di un manufatto esistente, violando le distanze legali previste dallo strumento urbanistico dell’Ente locale. Più specificamente, si trattava di un innalzamento del colmo del tetto – variabile fra i 55 e i 65 centimetri – esattamente sul confine con la proprietà contigua.

Fra i vari motivi dedotti nel ricorso per Cassazione, la parte condannata alla demolizione aveva sostenuto che vi era un “consenso scritto” del vicino, che permetteva di derogare alle distanze legali, tale da escludere in radice l’illegittimità della realizzata sopraelevazione.

Sennonché, il Collegio giudicante si è dimostrato di diverso avviso.

Dopo aver ribadito che una sopraelevazione come quella citata si configura senza ombra di dubbio come “nuova costruzione” (una sopraelevazione, comportando sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro, non può qualificarsi come risanamento conservativo o ricostruzione dei volumi edificabili preesistenti, i quali hanno solo lo scopo di conservarne i precedenti valori: cfr., per esempio la sentenza Cass. civ., sez. II, 05.03.2018, n. 5049), tale da dover rispettare le distanze minime di legge, la Suprema Corte ha esaminato il c.d. “consenso scritto derogatorio”, chiarendo quali requisiti avrebbe dovuto avere per consentire il mantenimento del manufatto illecitamente realizzato in violazione delle distanze legali.

A detta della Suprema Corte, per conservare una costruzione a distanza inferiore rispetto a quella prescritta dalla legge, non è sufficiente una mera autorizzazione unilaterale del proprietario del fondo vicino, che acconsenta alla corrispondente servitù, dato che, in materia di diritti reali, non risulta idoneo un atto che abbia semplice natura ricognitiva.

È, invece, necessario un vero e proprio contratto, che dia luogo – per l’appunto – alla costituzione di una servitù prediale, ai sensi dell’art. 1058 c.c., dato che costituisce una menomazione di carattere reale per l’immobile che alla distanza legale avrebbe diritto, a vantaggio del fondo contiguo che ne trae il corrispondente beneficio (in tal senso, già Cass. civ., sez. II, 29.04.1998, n. 4353).

Ne consegue che, per l’esistenza di una valida volontà costitutiva di servitù in deroga alle distanze delle costruzioni o vedute, pur non occorrendo alcuna formula sacramentale, è comunque indispensabile che detta volontà sia deducibile da una dichiarazione scritta da cui risultino i termini precisi del rapporto reale tra vicini, nel senso che l’accordo faccia venir meno il limite legale per il proprietario del fondo dominante, che così acquista la facoltà di invadere la sfera esclusiva del fondo servente (così anche le risalenti pronunce Cass. civ., sez. II, 14.06.1976, n. 2207; Cass. civ., sez. III, 29.01.1982, n. 577 e Cass. civ., sez. II, 19.06.1984, n. 3630).

La sentenza in esame è, dunque, intervenuta a confermare un orientamento interpretativo ampiamente consolidato, che pure viene spesso disatteso dagli interessati, i quali non percepiscono la complessità e la delicatezza della materia, né sembrano rendersi conto dei possibili risvolti economici anche molto pesanti (quando si edifica un fabbricato in potenziale violazione delle distanze, con il rischio di demolirlo in tutto o in parte … non è mai cosa di poco momento!).

avv. Domenico Chinello

 

 

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN    Sergio                             -  Presidente   -

Dott. COSENTINO Antonello                          -  Consigliere  -

Dott. CARRATO   Aldo                               -  Consigliere  -

Dott. PICARONI  Elisa                              -  Consigliere  -

Dott. SCARPA    Antonio                       -  rel. Consigliere  -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1782-2016 proposto da:

A.B.,          A.M.,             A.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DI VAL GARDENA 3, presso lo studio dell’avvocato LUCIO DE ANGELIS, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUIDO RAFFAGLIO;

- ricorrenti -

contro

AN.GI.,            R.I.,            R.M.,            A.A.,

R.P.,         R.A.,            a.g.,         AN.BA., AN.AN.,         A.D.,           R.N.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 63 (FAX 0364535069), presso lo studio dell’avvocato LUCIANO GARATTI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIANFRANCO BERTUSSI;

- controricorrenti -

nonché

sul ricorso proposto da:

AN.GI.,            R.I.,            R.M.,            A.A.,

R.P.,         R.A.,            a.g.,         AN.BA., AN.AN.,         A.D.,           R.N.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 63 (FAX 0364535069), presso lo studio

dell’avvocato LUCIANO GARATTI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIANFRANCO BERTUSSI;

- ricorrenti incidentali -

contro

A.B.,          A.M.,             A.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DI VAL GARDENA 3, presso lo studio dell’avvocato LUCIO DE ANGELIS, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUIDO RAFFAGLIO;

- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 723/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 16/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

 

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. A.B., A.G. e A.M. hanno proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 723/2015 della Corte d’appello di Brescia, pubblicata il 16 giugno 2015.

Resistono con controricorso R.M., R.I., R.N., R.P., R.A., An.An., A.A., An.Ba., A.D., An.Gi.Ma., a.g., i quali propongono altresì ricorso incidentale in unico motivo.

I ricorrenti principali hanno notificato controricorso per resistere al ricorso incidentale.

2.La Corte d’appello di Brescia ha respinto i contrapposti gravami avanzati contro la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Brescia, sezione distaccata di Breno, in data 6 settembre 2012, con cui vennero parzialmente accolte le domande degli attori A.B., A.G. e A.M. e le riconvenzionali dei convenuti Ri.Mi., R.M., R.I., R.N., R.P., R.A., A.S., A.C., A.D. e C.D., ordinando, in particolare, la riduzione in pristino del muro di tamponamento edificato sul mappale (OMISSIS), la chiusura dei fori di scarico dell’acqua piovana e la demolizione della porzione di tetto sopraelevata in violazione delle distanze di cui all’art. 21 norme tecniche di attuazione del Regolamento edilizio di Capo di Ponte.

A.B., A.G. e A.M., con citazione del 1 marzo 2001, avevano convenuto in giudizio: 1) Ri.Mi., R.A., R.M., R.I., R.N., R.P. e R.D., perché venissero dichiarati responsabili dei danni causati dalla demolizione parziale del tetto di proprietà degli attori; 2) R.A., A.S., A.C., A.D. e C.D., perché venissero condannati a rimuovere una tubatura d’acqua collocata a distanza inferiore a quella di legge, un sopralzo del piano di calpestio che aveva creato una nuova veduta o luce irregolare, i fori di scarico per l’acqua piovana, la copertura di cemento apposta sulla loro proprietà e il portico posto a distanza irregolare. Il primo gruppo di convenuti domandò in riconvenzionale, tra l’altro, la condanna degli attori alla demolizione della sopraelevazione del tetto di copertura della loro proprietà.

La trattazione dei ricorsi è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c.

I ricorrenti principali hanno depositato memoria.

Essendo state più parti convenute in un unico processo, ai sensi dell’art. 103 c.p.c., le cause connesse sono scindibili ed il litisconsorzio che si è instaurato tra di esse è facoltativo. Ne consegue che nei confronti di R.A., A.S., A.C., A.D. e C.D. non deve essere ordinata l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 331 c.p.c., né deve essere notificato il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 332 c.p.c., in quanto l’impugnazione è preclusa dalla scadenza del termine.

3. Il primo motivo del ricorso principale di A.B., A.G. e A.M. lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 per omessa decisione e omesso esame, nonché la “totale mancanza di motivazione su rilevanti deduzioni e correlative censure specificamente formulate dagli attuali ricorrenti, non contestate ed, anzi, espressamente recepite dalle controparti”. Il motivo si sostanzia nella trascrizione dell’atto di appello ed accusa la sentenza impugnata di aver pretermesso la “unicità del corpo di fabbrica” di proprietà delle parti in lite, e dunque la perfetta e totale aderenza delle rispettive porzioni, nonché la “specifica previsione del sopralzo...sottoscritta da entrambe le parti sull’originario progetto autorizzato dal Comune” ed ancora la richiesta di richiamo del CTU.

Il secondo motivo del ricorso principale deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 873 c.c., anche in riferimento all’art. 21 N.T.A., dettate con Regolamento del Comune di Capo di Ponte, con annesso Programma di Fabbricazione 25/02/1973 dello stesso Comune, approvato con Delib. Giunta Regionale 14 aprile 1975, n. 14410. Il giudice di secondo grado si sarebbe limitato a qualificare la sopraelevazione come “costruzione nuova” ma non avrebbe esaminato il dato che i fabbricati sono inseriti in un unico complesso edilizio e sono perciò del tutto aderenti.

Il terzo motivo del ricorso principale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 Cost., artt. 873,1175,1366 e 1375 c.c. in riferimento al rilievo derogatorio del consenso scritto di tutte le parti alla realizzazione del sopralzo. Tale consenso scritto avrebbe escluso ogni illegittimità delle opere eseguite. Si denuncia altresì l’omesso esame e la mancanza assoluta di motivazione sulle conclusioni subordinate dagli appellanti principali, relative ad un’eventuale demolizione di più ridotte proporzioni e agli accertamenti specifici da effettuare tramite il CTU.

3.1. I tre motivi del ricorso principale di A.B., A.G. e A.M. possono essere esaminati congiuntamente perché connessi e accomunati da identici profili di inammissibilità.

3.2. Innanzitutto, opera la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” e che, come nella specie, risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme), essendo stato il giudizio di appello introdotto con citazione del 18 giugno 2013.

3.3. È priva di riferibilità alla sentenza impugnata la censura di nullità per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in quanto la stessa contiene la motivazione riferibile ad argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione.

3.4. È inammissibile il riferimento al vizio di omessa pronuncia per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, configurandosi tale vizio esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito, e non anche in relazione ad istanze istruttorie, per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (cfr. indicativamente Cass. Sez. 6 - 1, 05/07/2016, n. 13716). In particolare, a fronte di una richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio, pur in difetto di un espresso rigetto di tale istanza, non può mai dirsi integrato un vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., ma, eventualmente, un vizio di motivazione in ordine alle ragioni addotte per rigettare le censure tecniche alla sentenza impugnata (Cass. Sez. 6 - 2, 18/03/2015, n. 5339).

Spetta, del resto, al giudice di merito esaminare e valutare le nozioni tecniche o scientifiche introdotte nel processo mediante la CTU, e dare conto dei motivi di consenso, come di quelli di eventuale dissenso, in ordine alla congruità dei risultati della consulenza e delle ragioni che li sorreggono. Tale valutazione è compiutamente esplicitata nella sentenza della Corte d’appello e non può essere sindacata in sede di legittimità invocando dalla Corte di cassazione, come auspicano i ricorrenti principali, un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, in maniera da pervenire ad una nuova validazione e legittimazione inferenziale dell’adesione prestata dal giudice di merito ai risultati dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio.

3.5. Il provvedimento impugnato ha peraltro deciso la questione di diritto attinente alla violazione delle distanze legali in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di cassazione e l’esame dei motivi di ricorso non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, con conseguente inammissibilità ex art. 360 bis c.p.c., n. 1.

Una sopraelevazione, quale quella accertata dai giudici di merito (sopralzo di 55-65 cm del colmo del tetto al confine fra le proprietà: pagine 18 e 19 della sentenza impugnata) deve essere considerata come nuova costruzione e può essere di conseguenza eseguita solo con il rispetto della normativa sulle distanze legali dalle costruzioni esistenti sul fondo confinante. Una sopraelevazione, comportando sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro, non può qualificarsi come risanamento conservativo o ricostruzione dei volumi edificabili preesistenti, i quali hanno solo lo scopo di conservarne i precedenti valori (tra le più recenti, Cass. Sez. 2, 05/03/2018, n. 5049).

E’ del tutto carente di specificità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il riferimento che i ricorrenti principali fanno al dato della unicità del corpo di fabbrica, per desumere che le norma di diritto asseritamente violate, ed in particolare l’art. 21 norme tecniche di attuazione del programma di fabbricazione del Comune di Capo di Ponte, comunque consentirebbero le costruzioni in aderenza o in accomunamento, mancando precise argomentazioni intese a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con l’invocata prescrizione del programma di fabbricazione che disciplina le distanze nelle costruzioni.

3.6. E’ inammissibile altresì la censura relativa al “consenso scritto” derogatorio, tale da escludere “ogni illegittimità delle opere eseguite”. I ricorrenti principali intendono denunciare errori o vizi nell’interpretazione del contenuto dell’accordo invocato, ma di tale atto non viene specificato in ricorso il contenuto, come impone l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Peraltro, per mantenere una costruzione a distanza minore di quella prescritta dalla legge, non è sufficiente una “auto r.zione” unilaterale del proprietario del fondo vicino che acconsenta alla corrispondente servitù, ma è necessario un contratto - essendo inidoneo, per i diritti reali, un atto ricognitivo - che dia luogo, appunto, alla costituzione di una servitù prediale, ex art. 1058 c.c., risolvendosi in una menomazione di carattere reale per l’immobile che alla distanza legale avrebbe diritto, a vantaggio del fondo contiguo che ne trae il corrispondente beneficio (arg. da Cass. Sez. 2, 29/04/1998, n. 4353). Ed allora, per l’esistenza di una valida volontà costitutiva di servitù in deroga alle distanze delle costruzioni o vedute, pur non occorrendo alcuna formula sacramentale, è comunque indispensabile che detta volontà sia deducibile da una dichiarazione scritta da cui risultino i termini precisi del rapporto reale tra vicini, nel senso che l’accordo faccia venir meno il limite legale per il proprietario del fondo dominante, che così acquista la facoltà di invadere la sfera esclusiva del fondo servente (cfr. Cass. Sez. 3, 29/01/1982, n. 577; Cass. Sez. 2, 14/06/1976, n. 2207; Cass. Sez. 2, 19/06/1984, n. 3630).

Per altro verso, i ricorrenti principali non considerano che, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, mentre le deroghe pattizie sono consentite relativamente alle norme sulle distanze di cui all’art. 873 c.c., dettate a tutela dei reciproci diritti soggettivi dei singoli, non altrettanto può dirsi in relazione alle disposizioni regolamentari in materia di distanze, poiché in tal caso la concessa azione di riduzione in pristino è volta a mantenere in vita un potere privato, concorrente con quello amministrativo, idoneo ad assicurare, attraverso la rimozione dell’opera illegittima, lo stesso risultato pratico perseguibile con i propri mezzi dalla P. A. e la completa attuazione dell’interesse generale alla realizzazione del modello urbanistico prefigurato: ciò a maggior ragione quando la norma regolamentare imponga di calcolare la distanza dal confine tra i fondi. Ne consegue che, ove pure il “consenso all’esecuzione del sopralzo” fosse inteso come esplicitante la volontà delle parti di derogare alle norme in tema di distanze dal confine contenute nel programma di fabbricazione del Comune di Capo di Ponte, si tratterebbe comunque di convenzione senz’altro invalida, trattandosi di norme inderogabili perché non si limitano a disciplinare i rapporti intersoggettivi di vicinato, ma mirano a tutelare anche interessi generali (cfr. Cass. Sez. 2, 04/05/2018, n. 10734; Cass. Sez. 2, 28/09/2004, n. 19449; Cass. Sez. 2, 04/02/2004, n. 2117; Cass. Sez. 2, 23/11/1999, n. 12984; Cass. Sez. 2, 29/04/1998, n. 4353; Cass. Sez. 2, 16/11/1985, n. 5626).

4.L’unico motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonché totale mancanza di motivazione sulle censure formulate dai medesimi ricorrenti incidentali quanto alla condanna subita a demolire il muro di tamponamento edificato in sopralzo del muro preesistente, a confine con l’immobile di proprietà degli attori, e ad arretrarlo fino al rispetto della distanza legale. Si richiamano parti della CTU sulla mancata alterazione del volume del tetto, nonché considerazioni svolte nei pregressi gradi sulla natura di mera opera di ristrutturazione e sulla concessione edilizia che legittimava la costruzione.

4.1. Anche il motivo di ricorso incidentale è inammissibile.

4.2. È priva di riferibilità alla sentenza impugnata la censura di nullità per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in quanto la stessa contiene la motivazione riferibile ad argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione.

La Corte di Brescia, a pagina 25 della sentenza, ha ritenuto accertata una costruzione della nuova muratura in sopralzo rispetto a quella preesistente, nozione estranea all’art. 877 c.c., il quale consente di costruire in aderenza sino all’altezza della costruzione esistente sul confine e a distanza legale da questo per la parte sopraelevata, purché sia rispettato il principio della prevenzione.

Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, la regolarità urbanistica del fabbricato non rileva ai fini della legittimità della costruzione per il rispetto delle distanze. D’altro canto, le prescrizioni in tema di distanze legali contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi comunali, essendo dettate, contrariamente a quelle del codice civile, a tutela dell’interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non tollerano deroghe convenzionali da parte dei privati; tali deroghe, se concordate, sono invalide, né tale invalidità può venire meno per l’avvenuto rilascio di concessione edilizia, poiché il singolo atto non può consentire la violazione dei principi generali dettati, una volta per tutte, con gli indicati strumenti urbanistici (tra le tante, Cass. Sez. 2, 18/10/2018, n. 26270).

4.3. Opera la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” e che, come nella specie, risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme), essendo stato il giudizio di appello introdotto con ricorso depositato o con citazione del 18 giugno 2013.

5. Vanno in definitiva dichiarati inammissibili sia il ricorso principale che il ricorso incidentale, compensandosi tra le parti le spese del giudizio di cassazione in ragione della reciproca soccombenza.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater - da parte dei ricorrenti principali e dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per le rispettive impugnazioni, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il ricorso principale ed il ricorso incidentale e compensa tra le parti le spese sostenute nel giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2021