È noto che tutti gli interventi di
nuova costruzione devono rispettare le distanze legali, e più specificamente,
la distanza di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti,
come prescritto dall’art. 9, del D.M. 1444/1968, che ha introdotto una norma
integrativa degli strumenti urbanistici comunali.
Si tratta di una disposizione volta
alla salvaguardia delle imprescindibili esigenze igienico-sanitarie, al fine di
evitare intercapedini nocive tra edifici, tali da compromettere i profili di
salubrità degli stessi, quanto ad areazione, luminosità e quant’altro; e si configura
certamente come una norma che, in ragione delle prevalenti esigenze di
interesse pubblico, innanzi indicate, ha carattere cogente e tassativo,
prevalendo anche sulle disposizioni regolamentari degli Enti locali che
dispongano in maniera più riduttiva.
In quest’ottica, è da chiedersi se una
tettoia da realizzarsi in aderenza all’abitazione principale, e destinata a rimanere
aperta sugli altri tre lati, possa/debba qualificarsi o meno come nuova
costruzione, ai fini del rispetto delle distanze minime di legge.
È questo il caso che è stato deciso
dalla recente sentenza T.A.R. Calabria, Sez. II, 09.04.2021, n. 752 (che si
riporta in calce).
In quella circostanza, il Comune aveva
diniegato il Permesso di costruire chiesto da un privato per realizzare, in aderenza
alla propria casa, una tettoia in pilastri e travi in legno lamellare con
copertura in tegole. Secondo l’Ente locale, il progetto non poteva essere
approvato, perché doveva qualificarsi come “nuova costruzione” e non rispettava
le distanze minime di legge da un edificio frontistante di altro proprietario.
Il privato interessato ha impugnato
il diniego avanti al T.A.R. competente per territorio, sostenendo che l’opera
in progetto – in quanto priva di pareti perimetrali – non poteva considerarsi
una costruzione e non era, dunque, assoggettabile alle distanze legali.
Il Collegio giudicante, tuttavia, si
è mostrato di altro avviso. Richiamando il consolidato insegnamento sia della giurisprudenza
amministrativa che civile, il T.A.R. ha concluso che – ai fini delle norme
sulle distanze legali – la nozione di costruzione non può identificarsi con
quella di edificio in senso stretto, ma deve estendersi a qualsiasi manufatto
non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed
immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o
collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente
realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell’opera.
Tale interpretazione è stata confermata
anche dalla recentissima decisione Consiglio di Stato sez. VI, 05/03/2021,
n.1867, ma si tratta di un orientamento interpretativo assolutamente consolidato
del Giudice amministrativo: si vedano, fra le tante, la sentenza Cons. giust.
amm. Sicilia sez. giurisd., 12.06.2020, n. 427.
Analoga, peraltro, è l’interpretazione
fornita dalla Suprema Corte civile: «Ai fini della osservanza delle norme sulle
distanze legali di origine codicistica o prescritte dagli strumenti urbanistici
in funzione integrativa della disciplina privatistica, è qualificabile come
costruzione qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i
caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al solo, anche mediante
appoggio, incorporazione o collegamento fisso a un corpo di fabbrica
preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di
posa e di elevazione dell’opera, dai caratteri del suo sviluppo volumetrico
esterno, dalla uniformità e continuità della massa, dal materiale impiegato per
la sua realizzazione, purché determini un incremento del volume, della
superficie e della funzionalità dell’immobile e non abbia una funzione
meramente decorativa» (Cassazione civile, sez. II, 28.10.2019, n. 27476)
Con più specifico riguardo ai
manufatti aperti, la giurisprudenza, poi, ha più volte coerentemente sentenziato:
«Costituisce una costruzione, ai sensi dell’art. 873 c.c., anche un manufatto
che, seppure privo di pareti, realizzi una determinata volumetria ed abbia i
caratteri della stabilità, della consistenza e dell’immobilizzazione al suolo»
(Tribunale Lucca, 18.12.2020, n. 1184).
E ancora: «Ai fini del rispetto
delle distanze legali, la nozione di costruzione non si
identifica con quella di edificio in mattoni o conglomerato cementizio, ma si
estende a qualsiasi manufatto che, a prescindere dai materiali utilizzati e
seppure privo di pareti, realizzi una determinata volumetria e abbia i
caratteri della stabilità, consistenza e immobilizzazione al suolo, anche solo
mediante appoggio, incorporazione o collegamento con altro preesistente corpo
di fabbrica» (Corte Appello Ancona, sez. II, 10.09.2020, n. 905).
In questi casi, allora, il computo
delle distanze va effettuato dalla linea ideale che congiunge le strutture portanti
della tettoia aperta: «In relazione alle prescrizioni di cui all’art. 873 c.c.
costituisce costruzione anche un manufatto che, seppure privo di pareti,
realizzi una determinata volumetria, sicché – al fine di verificare l’osservanza
o meno delle distanze legali – la misura deve esser effettuata
assumendo come punto di riferimento la linea esterna della parete ideale
posta a chiusura dello spazio esistente tra le strutture portanti più avanzate
dei manufatto stesso» (T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 19.05.2015, n. 1029).
Di qui, in coerenza con il citato insegnamento
giurisprudenziale, anche la recente sentenza del T.A.R. Catanzaro n. 752/2021 ha
concluso che la tettoia sottoposta al suo esame doveva comunque considerarsi “nuova
costruzione”, e quindi rilevante ai fini del calcolo della distanza minima tra
edifici, poiché avrebbe costituito un ampliamento funzionale dell’abitazione esistente,
che presenta una porta di accesso ed una finestra proprio in corrispondenza
della tettoia medesima.
avv. Domenico Chinello
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Pubblicato il 09/04/2021
N. 00752/2021
REG.PROV.COLL.
N. 00962/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la
presente
SENTENZA
sul ricorso numero di
registro generale 962 del 2020, proposto da:
A. T., rappresentato e difeso dagli Avv.ti G. S., C. B., con domicilio digitale
come da p.e.c. da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Limbadi, in
persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. G.
C., con domicilio digitale come da p.e.c. da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
del provvedimento del
29.05.2020, prot. n. 3679, avente ad oggetto il diniego del permesso di
costruire;
nonché
per il risarcimento del
danno.
Visti il ricorso e i
relativi allegati;
Visto l’atto di
costituzione in giudizio del Comune di Limbadi;
Visti tutti gli atti
della causa;
Relatore nell’udienza
pubblica del giorno 23 marzo 2021 il Dott. Arturo Levato;
Ritenuto e considerato
in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il Sig. A. T. espone
che in data 1.10.2019 ha presentato istanza di permesso di costruire, prot. n.
5918, per la realizzazione di una tettoia di pertinenza ad un edificio sito in
Corso Vittorio Emanuele III, contraddistinto in catasto fabbricati al foglio
12, particella 758, ricadente nella zona omogenea di tipo B, Aree soggette alla
ricomposizione degli isolati attraverso interventi puntuali del P.S.C. del
Comune di Limbadi.
Con nota prot. n. 2570
del 14.04.2020 l’Ente territoriale ha comunicato al ricorrente i motivi
ostativi ex art 10-bis L. n. 241/1990 al rilascio
del permesso richiesto, poiché “Le opere in progetto sono in contrasto con
quanto previsto all’art 9 comma I punto 2) della Legge 1444/1968: … Di fatti le
opere in progetto e l’immobile esistente del lotto adiacente di proprietà Redi
Marianna, risultano essere ad una distanza inferiore ai 10 metri prescritti
dalla citata norma”.
Disattendendo le memorie
difensive inoltrate dall’esponente, il Comune ha quindi adottato il
provvedimento di diniego del permesso di costruire prot. n. 3679 del
29.05.2020.
Avverso tale
determinazione insorge il ricorrente, chiedendone l’annullamento, poiché
viziata da: i) violazione dell’art. 20 D.P.R. n. 380/2001, violazione degli
artt. 4, 5 L. n. 241/1990; ii) violazione dell’art 9, comma 1, n. 2) D.M.
1444/1968, violazione dell’art 12 D.P.R. n. 380/2001, violazione dell’art. 2 n.
7) P.S.C. del Comune di Limbadi, violazione dell’art 873 c.c., eccesso di potere.
L’esponente chiede
altresì il risarcimento dei danni derivanti dal mancato rilascio del titolo
edilizio.
2. Si è costituito in
giudizio il Comune di Limbadi, che confuta le doglianze, concludendo per il
rigetto del ricorso.
3. All’udienza pubblica del
23 marzo 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.
4. Con la prima censura
il ricorrente lamenta la violazione dell’art 20, comma 2, D.P.R. n. 380/2001,
poiché il nominativo del responsabile unico del procedimento non è stato
comunicato entro dieci giorni dalla presentazione della domanda del permesso di
costruire, avvenuta in data 1.10.2019, ma soltanto il 7.04.2020 con nota n.
prot. 2413.
L’assunto non è fondato.
È invero costante la
giurisprudenza nello statuire che l’omessa indicazione de responsabile del
procedimento amministrativo “costituisce una semplice irregolarità, che non
determina l’illegittimità del provvedimento finale, in quanto supplisce il
criterio legale di imputazione del ruolo al dirigente preposto all’unità organizzativa
competente” (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III, 2 novembre
2020, n. 6755).
5.1. Si duole ancora l’esponente
che il diniego avversato sarebbe stato adottato in violazione dell’art. 9 D.M.
n. 1444/1968, che prescrive la distanza minima di dieci metri tra pareti
finestrate e pareti di edifici antistanti, nonché in violazione dell’art. 2 del
P.S.C. del Comune di Limbadi. Ciò in quanto la tettoia oggetto del progetto
edilizio presentata dal deducente -poiché da realizzarsi in “pilastri e travi
in legno lamellare, e manto di copertura a tegole” e pertanto, priva di
pareti laterali- non potrebbe annoverarsi nel concetto di parete di edificio di
cui all’art 9 D.M. n. 1444/1968, cosicché il manufatto risulterebbe inidoneo a
creare intercapedini tra gli edifici, dannose per la salubrità e per l’igiene.
La doglianza va
disattesa.
Giova premettere che l’art.
9, comma 1, n. 2) D.M. n. 1444/1968 – rubricato “Limiti di distanza tra i
fabbricati” – stabilisce che “Le distanze minime tra fabbricati per le
diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue: … 2) Nuovi
edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza
minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”.
La riportata
disposizione ha carattere inderogabile, poiché si tratta di norma imperativa,
che stabilisce in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni, in
considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di
sicurezza (Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 settembre 2020, n. 5466).
La giurisprudenza, sia
amministrativa sia civile, ha poi precisato che “ai fini dell’osservanza
delle norme sulle distanze legali tra edifici di origine codicistica, la
nozione di costruzione non può identificarsi con quella di edificio, ma deve
estendersi a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i
caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche
mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica
preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di
posa e di elevazione dell’opera” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 marzo
2021, n. 1867; Corte di Cassazione, Sez. II, 15 dicembre 2020, n. 28612; 10
febbraio 2020, n. 3043; 28 ottobre 2019, n. 27476).
Tanto chiarito, dalla
determinazione avversata risulta che la costruzione in esame è costituita “da
una tettoia con struttura lignea, sorretta d n. 6 pilastri, avente copertura
opaca di tegole a due falde, di dimensioni di pianta di m. 3.90 x 5.00 m e
altezza alla gronda di m 2.30, adiacente ad una struttura già esistente con
funzione di garage…”.
In applicazione dell’art.
9 D.M. n. 1444/1968 e della richiamata giurisprudenza, tale manufatto è quindi
da considerarsi alla stregua di nuova costruzione, rilevante ai fini del
calcolo della distanza minima tra edifici, poiché costituirebbe un ampliamento
funzionale del corpo di fabbrica già esistente, il quale presenta una porta di
accesso e una finestra proprio in corrispondenza della tettoia medesima.
Dal provvedimento di
diniego emerge quindi che l’opera in progetto e l’immobile esistente del lotto
adiacente sono collocati ad una distanza inferiore ai dieci metri prescritti
dall’art. 9 D.M. n. 1444/1968, risultando pertanto legittimo il rigetto della
richiesta di rilascio del permesso di costruire.
6. La domanda di
annullamento è quindi infondata.
7. Va altresì disattesa
la richiesta di risarcimento del danno, in ragione del mancato accertamento
dell’illegittimità del provvedimento impugnato, quale coelemento necessario per
l’integrazione dell’illecito imputabile all’intimata p.a. ex art.
2043 c.c.
8. Il ricorso è pertanto
respinto.
9. Le spese di lite
seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo
Regionale per la Calabria (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul
ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna il ricorrente
alla refusione delle spese di lite in favore del Comune di Limbadi, che liquida
in complessivi euro 3.305,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente
sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro
nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2021, tenutasi mediante
collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 25
d.l. n. 137/2020, conv. in l. n. 176/2020 e ss.mm., con l’intervento dei
magistrati:
Giovanni Iannini, Presidente
Arturo Levato, Referendario, Estensore
Gabriele Serra, Referendario