Secondo un orientamento assolutamente
prevalente della giurisprudenza civile – cristallizzata nella nota decisione
delle Sezioni Unite della Cassazione n. 25021/2019 – la legittimità edilizia
del fabbricato in comunione costituisce presupposto giuridico sia della
divisione convenzionale, sia della divisione in giudizio. Ne consegue che il
giudice non può disporre lo scioglimento di una comunione – ordinaria o
ereditaria che sia – avente ad oggetto dei fabbricati, senza osservare le
prescrizioni dettate dall’art. 46 del d.P.R. n. 380//2001 (c.d. T.U. dell’edilizia),
e dall’art. 40, comma 2, della legge sul condono n. 47/1985, rispettivamente
applicabili a seconda che l’edificio sia stato costruito successivamente o
anteriormente alla entrata in vigore della predetta legge n. 47/1985. Di qui, essendo
la regolarità edilizia del fabbricato posta a presidio dell’interesse pubblico
all’ordinato assetto del territorio, la carenza della documentazione attestante
tale regolarità risulta rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado del
giudizio e rende improcedibile la domanda di divisione. È quanto ribadito dalla
recente sentenza Tribunale Genova, sez. III, 21.01.2021, n. 121.
Questi i motivi
della decisione: «Con atto di citazione ritualmente
notificato L., G. e C. S., comproprietari di un immobile sito nel Comune di Rapallo,
località San Michele di Pagana, via F., convenivano in giudizio P. M. C., C. C.
e M. C., nonché il sig. G.C., assumendo che le parti sono tutte comproprietarie
del compendio immobiliare costituito da una palazzina di tre piani, in ognuno dei
quali è stato realizzato un appartamento di civile abitazione, con lastrico solare
soprastante ed ampio giardino; che ognuna delle parti gode in via esclusiva di un
appartamento restando in uso comune gli altri beni citati nonché il locale posto
a livello sottostrada costituito in parte da piccolo appartamento non ultimato ed
in parte da cantine e da un locale magazzino; che le parti sono per stirpi comproprietarie
per quote di uguale valore di detti beni.
Pertanto chiedevano la divisione del compendio immobiliare
con la formazione di tre lotti omogenei.
Si costituivano i convenuti con comparse separate sostanzialmente
aderendo alla domanda di divisione chiedendo tuttavia che nella formazione dei lotti
si tenesse in considerazione l’uso attuale di ciascun appartamento in capo alle
parti.
La causa veniva istruita mediante CTU.
All’esito, in ossequio ai principi esposti della Corte
di Cassazione a Sezioni Unite del 7/10/2019 n. 25021, il Giudice con ordinanza di
rimessione della causa sul ruolo in data 21/11/2019 invitava le parti a produrre
le dichiarazioni attestanti la regolarità edilizia dei beni nonché la conformità
catastale a pena di improcedibilità della domanda.
Nel lungo tempo trascorso, nonostante i diversi rinvii
concessi alle parti per adempiere anche tenuto conto dell’emergenza sanitaria, le
parti non hanno provveduto all’adempimento richiesto.
È pacifica e non contestata la sussistenza della comunione
indivisa relativamente ai beni descritti in atti derivanti dalla successione ereditaria
dell’antenato G.C., né vi sono contestazioni in merito alle quote indivise spettanti
alle parti.
La domanda di divisione relativamente a tali beni tuttavia
deve essere dichiarata improcedibile.
La Corte di Cassazione a SSUU ha statuito che nelle cause
di scioglimento della comunione anche con riferimento alla divisione giudiziale
dell’eredità va applicato il medesimo regime che vale per la divisione convenzionale.
A tal riguardo la Corte ha ricordato che “la disposizione di cui all’art. 17, comma
1, della legge n. 47 del 1985 (ora art. 46, comma 1, del d.P.R. 6 giugno 2001, n.
380) si applica non solo alle “divisioni volontarie”, ossia a quelle contrattuali,
ma anche alle divisioni giudiziali, risultando, in caso contrario, oltremodo agevole
per i condividenti, mediante il ricorso al giudice, l’elusione della norma imperativa
in questione (Cass., Sez. 2, n. 15133 del 28/11/2001; Cass., Sez. 2, n. 630 del
17/01/2003)”. Tale principio è conforme alla giurisprudenza di legittimità in tema
di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto avente
ad oggetto il trasferimento della proprietà di edifici o di loro parti laddove la
Corte “ha statuito che non può essere emanata sentenza di trasferimento coattivo,
ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., in assenza di dichiarazione - contenuta nel preliminare
o prodotta successivamente in giudizio - sugli estremi della concessione edilizia,
che costituisce requisito richiesto a pena di nullità dall’art. 17 della legge n.
47 del 1985 ed integra una condizione dell’azione ex art. 2932 cod. civ., non potendo
tale pronuncia realizzare un effetto maggiore e diverso da quello possibile alle
parti nei limiti della loro autonomia negoziale (Cass., Sez. 6 - 2, n. 8489 del
29/04/2016 ; analogamente, Cass., Sez. 6 - 2, n. 1505 del 22/01/2018)”.
La Corte, quindi, ha ribadito “come l’ordinamento giuridico
non possa consentire che le parti, attraverso il ricorso al giudice, conseguano
un effetto giuridico ad esse precluso per via negoziale, così aggirando il complesso
sistema di sanzioni posto a tutela dell’ordinato assetto del territorio; né il giudice
potrebbe - contraddittoriamente - da un lato dichiarare la nullità delle divisioni
negoziali poste in essere in violazione degli artt. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001
e 40 della legge n. 47 del 1985 e, dall’altro, disporre la divisione giudiziale
dei fabbricati abusivi. Invero, la regolarità edilizia del fabbricato in comunione,
come costituisce presupposto giuridico della divisione convenzionale, parimenti
costituisce presupposto giuridico della divisione giudiziale; più precisamente,
costituisce condizione dell’azione ex art. 713 cod. civ. sotto il profilo della
“possibilità giuridica” (in questo senso, in tema di esecuzione specifica dell’obbligo
di concludere un contratto di compravendita di un immobile, Cass., Sez. Un., n.
23825 del 11/11/2009, secondo cui la sussistenza della dichiarazione sostitutiva
di atto notorio, di cui all’art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, rilasciata
dal proprietario o da altro avente titolo, attestante l’inizio dell’opera in data
anteriore al 2 settembre 1967, non costituisce un presupposto della domanda, bensì
una condizione dell’azione, che può intervenire anche in corso di causa e sino al
momento della decisione della lite; da ultimo, Cass., Sez. 2, n. 6684 del 07/03/2019).
Non può pertanto il giudice disporre lo scioglimento di una comunione (ordinaria
o ereditaria) avente ad oggetto fabbricati, senza osservare le prescrizioni dettate
dall’art. 46 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e dall’art. 40, comma 2, della legge
n. 47 del 1985, rispettivamente applicabili a seconda che l’edificio sia stato costruito
successivamente o anteriormente alla entrata in vigore della legge n. 47 del 1985.
Essendo la regolarità edilizia del fabbricato posta a presidio dell’interesse pubblico
all’ordinato assetto del territorio, la carenza della documentazione attestante
tale regolarità è rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio (Cass.,
Sez. Un., n. 23825 del 11/11/2009, cit.); parimenti, è rilevabile d’ufficio, in
ogni stato e grado del giudizio, il mancato esame di tale documentazione da parte
del giudice”.
Sulla base di tali argomentazioni la Corte enunciava il
seguente principio di diritto: “Quando sia proposta domanda di scioglimento di una
comunione (ordinaria o ereditaria che sia), il giudice non può disporre la divisione
che abbia ad oggetto un fabbricato abusivo o parti di esso, in assenza della dichiarazione
circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti ad essa equipollenti,
come richiesti dall’art. 46 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e dall’art. 40, comma
2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, costituendo la regolarità edilizia del fabbricato
condizione dell’azione ex art. 713 cod. civ., sotto il profilo della “possibilità
giuridica”, e non potendo la pronuncia del giudice realizzare un effetto maggiore
e diverso rispetto a quello che è consentito alle parti nell’ambito della loro autonomia
negoziale. La mancanza della documentazione attestante la regolarità edilizia dell’edificio
e il mancato esame di essa da parte del giudice sono rilevabili d’ufficio in ogni
stato e grado del giudizio”.
Alla luce degli atti e delle risultanze in sede di CTU
non risulta la attestazione della regolarità edilizia degli immobili oggetto di
causa né la conformità catastale; le parti non hanno prodotto le dichiarazioni richieste
dal Giudice.
Peraltro, la dichiarazione resa davanti a pubblico ufficiale
è atto formale, con il quale la parte assume la responsabilità della veridicità
del contenuto che non ammette equipollenti.
Tale conclusione rende superflua ogni valutazione in merito
alla proposta conciliativa formulata dal CTU sulla cui efficacia il Giudice si è
già espresso, negandola, con ordinanza in data 12/4/2018 la cui motivazione si richiama
integralmente.
Atteso che la citata sentenza della Corte di Cassazione
è sopravvenuta in pendenza di causa e che l’onere della dichiarazione incombe su
ciascuna parte e che nessuna ha ottemperato all’ordine del Giudice pare equo compensare
integralmente tra le parti le spese di giudizio.
Ugualmente le spese di CTU vanno ripartite tra le parti
in ragione di un terzo ciascuna.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, azione
ed eccezione respinte, così decide:
dichiara improcedibile la domanda di divisione dei beni;
dichiara compensate le spese di giudizio tra le parti;
pone a carico delle parti in via definitiva in ragione
di un terzo ciascuna le spese di CTU liquidate in corso di causa.
ordina la cancellazione della trascrizione della domanda
di divisione».
Di tenore parzialmente diverso è invece l’altrettanto
recente sentenza Tribunale Napoli, sez. IV, 09.02.2021, n. 1241. Questa
seconda pronuncia ha valorizzato un altro arresto delle Sezioni Unite della
Suprema Corte, ossia la decisione n. 8230/2019, sulla c.d. “nullità testuale”
che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali ed è volta a sanzionare la
mancata inclusione, in detti atti, degli estremi del titolo abilitativo che ha
assentito l’immobile.
Questa la parte motiva della sentenza napoletana: «… La
domanda è volta allo scioglimento della comunione ordinaria ex art. nn cc,
artt. 718, 727, 728 cc richiamati dall’art. 1116 cc, del compendio immobiliare
sito in (...) via (...) censito in Catasto Fabbricati al Foglio (...), P.lla
(...), subalterni da (...) a (...) realizzato dai germani (...) sul terreno
acquistato da (...) il (...), in regime di comunione legale dei beni con i
rispettivi coniugi.
Prima di entrare nel merito, va dichiarata la
ammissibilità della domanda di divisione pur in presenza di alcune difformità
urbanistiche di cui si tratterà di seguito, alla luce dei principi espressi in
tema, da ultimo, dalla S.C.: “la nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n.
380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985 va ricondotta
nell’ambito del comma 3 dell’art. 1418 c.c., di cui costituisce una specifica
declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione
dovendosi intendere, in stretta adesione al dato normativo, un’unica
fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati
nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti
atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia,
deve esistere realmente e deve essere riferibile, proprio, a quell’immobile. In
presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo
urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a
prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione
realizzata al titolo menzionato” (sent. Cass. S.U. n. 8230/2019); “In tema di
esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita,
ai sensi dell’articolo 40 della legge 47/1985, può essere pronunciata sentenza
di trasferimento coattivo ex articolo 2932 del codice civile a
condizione che il vizio di regolarità urbanistica non oltrepassi la soglia
della parziale difformità rispetto alla concessione, dovendosi distinguere,
anche quando sia stata presentata istanza di condono edilizio con versamento
della somma prevista per l’oblazione e la pratica non sia stata ancora
definita, tra ipotesi di abuso primario, relativo a beni immobili edificati o
resi abitabili in assenza di concessione, e abuso secondario, caratterizzato
dalla circostanza che solo una parte di unità immobiliare già esistente abbia
subito modifica o mutamento di destinazione d’uso” (ord Cass n. 26558/2020);
ne deriva che la domanda di divisione è ampiamente ammissibile»
Il Tribunale di Napoli è, dunque, giunto alla
conclusione che deve ritenersi ammissibile la domanda in giudizio di divisione
anche per immobili che presentino lievi difformità sotto il profilo urbanistico-edilizio.
Avv. Domenico Chinello