Ed, infatti, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza, sia
civile che amministrativa, non sono computabili nel calcolo della distanza fra
edifici solamente le parti che hanno funzione meramente ornamentale e
decorativa (ad esempio, le mensole, le lesene, i risalti verticali), le
canalizzazioni di gronde e i loro sostegni, gli aggetti e gli sporti di ridotte
dimensioni e qualsivoglia altro elemento di minima entità, mentre non possono
essere esclusi dal computo delle distanze legali le pensiline, i balconi e
tutte quelle sporgenze che – per le particolari dimensioni che presentano –
sono destinate ad estendere ed ampliare la parte concretamente utilizzabile per
l’uso abitativo del fabbricato. In tal senso, fra le più recenti sentenze
del Giudice amministrativo, si segnalano Consiglio di Stato, sez. VI, 18.01.2021,
n. 521, T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 05.03.2021, n. 2763, T.A.R. Puglia,
Bari, sez. III, 02.04.2019, n. 485 e molteplici altre.
Sulla stessa falsariga, peraltro, si pone anche il consolidato orientamento
interpretativo del Giudice civile, come la decisione Cassazione civile, sez. II,
29.01.2018, n. 2093, o Cassazione civile, sez. I, 10.08.2017, n. 19932,
o ancora Cassazione civile, sez. II, 19.09.2016, n.18282.
Di analogo tenore è anche la recente pronuncia Corte di Cassazione, sez.
II, 17.09.2021, n. 25191, nella cui motivazione si legge:
«Con il terzo motivo,
il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 873 c.c. e la falsa applicazione
dell'art. 11 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Campi Bisenzio, in relazione
all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché il giudice di seconde cure
avrebbe erroneamente deciso la domanda relativa all'arretramento dei balconi
realizzati nel nuovo edificio facendo applicazione della disposizione di cui
all'art. 905 c.c., in materia di diritto di veduta, e non invece di quella di
cui all'art. 873 c.c., in materia di distanze tra gli edifici. La censura è
fondata. La Corte di Appello ha, da un lato, richiamato la motivazione resa dal
Tribunale, secondo la quale "... le disposizioni regolamentari prevedono
che ai fini del calcolo della anzidetta distanza di mt. 5 non debbano essere
considerati gli aggetti della copertura e gli elementi decorativi nonché le
terrazze aggettanti" (cfr. pag. 14), e dall'altro lato affermato che nel
caso di specie non verrebbe in rilievo un problema di distanze tra le
costruzioni o dal confine, ma piuttosto una questione di regolamentazione del
diritto di veduta, con conseguente applicazione non dell'art. 873 c.c., ma
dell'art. 905 c.c. Entrambe le affermazioni sono erronee.
In particolare, è errata
la seconda – che logicamente precede la prima – in quanto il balcone
costituisce una parte dell'edificio, ond'esso va considerato, ai fini del
calcolo delle distanze tra fabbricati, o tra essi ed il confine. E lo è la
seconda, in base al consolidati principio -al quale il collegio ritiene di dare
continuità- secondo cui "In tema di distanze legali fra edifici non sono
computabili le sporgenze esterne del fabbricato che abbiano funzione meramente
ornamentale, mentre costituiscono corpo di fabbrica le sporgenze degli edifici
aventi particolari proporzioni, come i balconi sostenuti da solette aggettanti,
anche se scoperti, ove siano di apprezzabile profondità e ampiezza, giacché,
pur non corrispondendo a volumi abitativi coperti, rientrano nel concetto
civilistico di costruzione, in quanto destinati ad estendere ed ampliare la
consistenza dei fabbricati. Ne consegue che l'art. 14 delle norme tecniche di
attuazione del piano regolatore di Verona, là dove si riferisce alla lunghezza
dei "corpi prospicienti" per rapportare le distanze all'altezza
massima dei fabbricati, essendo il "corpo di fabbrica" sinonimo di
"costruzione" agli effetti dell'art. 873 cod. civ., che non può
essere derogato da norme secondarie, se non per stabilire distanze maggiori dal
confine, deve essere interpretato nel senso che la lunghezza delle facciate
degli edifici dev'essere computata così da escludere solo le sporgenze aventi
funzione ornamentale e non anche quelle che prolungando il fronte eccedono
detta funzione" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1.2964 del 31/05/2006, Rv.
593831; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5963 del 25/03/2004, Rv. 571526; Cass.
Sez. 2, Sentenza n. 1556 del 26/01/2005, Rv. 578604).
In termini ancor più
chiari, si è affermato che "In tema di distanze tra costruzioni su fondi
finitimi, ai sensi dell'articolo 873 c. c., con riferimento alla determinazione
del relativo calcolo, poiché il balcone, estendendo in superficie il volume
edificatorio, costituisce corpo di fabbrica, e poiché l'articolo 9 del D. M. 2
aprile 1968 – applicabile alla fattispecie, disciplinata dalla legge
urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, come modificata dalla legge 6 agosto 1967
n. 765 – stabilisce la distanza minima di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti
antistanti, un regolamento edilizio che stabilisca un criterio di misurazione
della distanza tra edifici che non tenga conto dell'estensione del balcone, è contra legem in quanto, sottraendo dal calcolo
della distanza l'estensione del balcone, viene a determinare una distanza tra
fabbricati inferiore a mt. 10, violando il distacco voluto dalla cd. legge
ponte (legge 6 agosto 1967 n. 765, che, con l'articolo 17, ha aggiunto alla
legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150 l'articolo 41 quinquies, il cui comma
non fa rinvio al D. M. 2 aprile 1968, che all'articolo 9, numero 2, ha
prescritto il predetto limite di mt. 10)"(Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17089
del 27/07/2006, Rv. 593396).
Da quanto precede deriva
che i balconi devono sempre essere considerati ai fini del calcolo della
distanza tra edifici e tra questi ed il confine. Le sole parti delle quali può
non tenersi conto, in detto calcolo, sono quelle aggettanti, aventi una
funzione esclusivamente artistica ed ornamentale, quali fregi, sculture in
aggetto e simili».
avv. Domenico Chinello